Brassicacee: potenti alleati contro lo stress ossidativo e il colesterolo

1crucifereLe “crucifere” o “brassicacee” sono vasta famiglia botanica. Appartengono a questa famiglia i cavoli, cavolfiore, cavolo cappuccio, cavolo verza, cavolo nero, cavolo rosso, cavolo riccio, cavolini di Bruxelles, broccoli, cime di rapa, ma anche la senape, il ravanello e la rucola.

E’ ormai stato ampiamente dimostrato che il consumo di queste verdure è associato con la riduzione del rischio di cancro (mammella, endometrio, cervice, prostata, polmone, colon, fegato). Tali effetti sono stati ricondotti in particolare al contenuto in glucosionolati, fitonutrienti  abbondanti nelle crucifere.

Tuttavia , le crucifere  sono ricche di altri composti bioattivi come i carotenoidi e i polifenoli che svolgono numerosi ruoli tra cui ruolo antiossidante e antinfiammatorio. Negli ultimi anni evidenze scientifiche suggeriscono un loro ruolo anche nella modulazione dei livelli di lipidi plasmatici.

Possono quindi le brassicacee fornire un contributo efficace anche nella riduzione dello stress ossidativo e dei livelli di colesterolo, che come è noto, sono importanti fattori di rischio di patologie cardiovascolari?

La risposta a questo quesito è stata ottenuta  da uno studio condotto dal nostro gruppo di ricerca in collaborazione con la ditta Italsur, che è stato recentemente pubblicato su Journal of Functional Foods.

depliant_cavoli_2013Lo studio è stato condotto su varietà pigmentate di Brassicaee come il cavolo nero (Brassica oleracea L. var. acephala subvar. Laciniata L o Nero di Toscana) e rosso (Brassica oleracea L. var. capitata L.f. rubra  ) che sono particolarmente ricche di carotenoidi e polifenoli e che devono il particolare colore delle loro foglie proprio alla presenza di questi composti.

Un gruppo di volontari (n=38) ha incluso nella propria dieta giornaliera un prodotto sperimentale costituito da 80% cavolo nero e rosso,  per due settimane. I risultati hanno dimostrato un significativo aumento dei livelli di antiossidanti (livelli di beta-carotene, luteina) e delle capacità antiossidanti totali  nel plasma dopo il trattamento. Queste modifiche erano associate ad una significativa riduzione livelli di LDL ossidate che rappresentano uno dei principali parametri biochimici di danno ossidativo . Inoltre i risultati hanno dimostrato che già dopo solo due settimane di trattamento si osservava  un significativo  miglioramento del profilo lipidico  con una riduzione del colesterolo totale e del colesterolo LDL di circa il 10% rispetto ai valori basali .

Un aspetto interessante emerso da questo studio è che l’effetto del trattamento dipende dalle caratteristiche  del soggetto.  In particolare l’effetto positivo osservato sul profilo lipidico è più accentuato nei soggetti di sesso femminile rispetto ai soggetti di sesso maschile; mentre l’effetto protettivo contro lo stress ossidativo era maggiore nei soggetti che nelle condizioni basali  avevano difese antiossidanti più compromesse.

Questi dati confermano che le Brassicacee sono  dei veri e propri “alimenti funzionali” naturali  e che il loro consumo regolare e frequente può essere utile alleato nella riduzione del colesterolo e dello stress ossidativo.

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Effect of black and red cabbage on plasma carotenoid levels, lipid profile and oxidized low density lipoprotein. Journal of Functional Foods, 2014,8:128–137.

 

 

 

 

 

Le ricette salate di Jamie Oliver

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Il numero di dicembre 2012 del British Medical Journal (BMJ), ospita l’articolo “Nutritional content of supermarket ready meals and recipes by television chefs in the United Kingdom: cross sectional study” di Simon Howard, Jean Adams, e Martin White. I tre ricercatori hanno esaminato gli apporti calorici e le proprietà nutrizionali di piatti pronti in vendita nel Regno Unito. I dati sono stati confrontati con ricette proposte da noti chef. Gli apporti nutrizionali dei primi e dei secondi sono stati messi in relazione alle linee guida pubblicate dall’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) e dalla UK Food Standards Agency (FSA).

ResearchBlogging.orgSono stati selezionati in modo casuale 100 ricette attinte da cinque libri bestseller di cucina scritti da alcuni cuochi che animano Show televisivi britannici e 100 piatti pronti. Tra le ricette selezionate alcune provengono da 30 Minute Meals di Jamie Oliver, Baking Made Easy di Lorraine Pascale, Kitchen di Nigella Lawson, e River Cottage Everyday di Hugh Fearnley-Whittingstall. I piatti pronti sono stati scelti tra gli scaffali di Asda, Sainsbury e Tesco.

Cosa è emerso? Nessuna ricetta o piatto pronto rispettava le raccomandazioni dell’OMS per la prevenzione di patologie legate all’alimentazione. Entrambi i tipi di pasti tendevano ad avere un alto contenuto di proteine, di grassi, di grassi saturi e sale.

Inoltre i piatti confezionati seguendo le ricette degli chef televisivi piu’ popolari sono risultati contenere più calorie, piu’ proteine e grassi se confrontati con i piatti pronti. Al contrario l’apporto in fibre è risultato minore.

Se si usassero le etichette a semaforo proposte per veicolare informazioni nutrizionali, ecco come ne uscirebbero in media i piatti pronti e le ricette degli chef.

Etichetta nutrizionale

In conclusione gli autori pur ammettendo alcuni limiti della ricerca, suggeriscono che sarebbe utile inserire informazioni nutrizionali anche sulle ricette di libri di cucina bestseller.

Non siete curiosi di fare altrettanto con i libri di cucina bestseller in Italia?

Fonti: BMJ TRASHFOOD

Howard, S., Adams, J., & White, M. (2012). Nutritional content of supermarket ready meals and recipes by television chefs in the United Kingdom: cross sectional study BMJ, 345 (dec14 14) DOI: 10.1136/bmj.e7607

Il fast food piu’ salato? È negli USA.

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Il sale è uno dei fattori che assunto in eccesso contribuisce alla insorgenza dell’ipertensione. Anche in Italia, l’apporto in sale è maggiore rispetto ai valori raccomandati dall’Organizzazione mondiale della sanità. A sostenerlo sono i risultati – ancora preliminari – del progetto Minisal-Gircsi, guidato dai ricercatori del reparto di Epidemiologia delle malattie cerebro e cardiovascolari del Centro nazionale di epidemiologia, sorveglianza e promozione della salute dell’Istituto superiore di sanità (Cnesps-Iss). Lo studio, condotto su 1519 uomini e 1450 donne di età compresa tra i 35 e i 79 anni di 15 Regioni italiane, ha portato i ricercatori a calcolare che tra gli adulti italiani il consumo medio di sale al giorno è pari negli uomini a 10,9 grammi e nelle donne a 8,6 grammi: valori oltre l’apporto di sodio raccomandato dall’Organizzazione mondiale della sanità ( non più di 5 grammi di sale al giorno).

Si stima che l’apporto di sale nell’alimentazione sia dovuto per il 10% al sodio contenuto “naturalmente” negli alimenti. La maggior parte deriva dal sale aggiunto nei prodotti trasformati e nei cibi consumati fuori casa (il 55%) e da quello aggiunto a tavola o durante la cottura dei cibi (il 35%).
A livello della ristorazione collettiva, i fast food sono additati per le loro proposte ipercaloriche, nutrizionalmente sbilanciate e con elevati contenuti in sale. Al fine di raccogliere dati sui contenuti in sale nei prodotti in vendita nei fast food, un gruppo di ricercatori ha valutato i dati nutrizionali di piu’ di 2000 prodotti di varie tipologie commerciali (pizza, sandwich, prodotti elaborati, snacks salati) in vendita nelle catene Pizza Hut, Burger King (Hungry Jacks in Australia), Domino’s Pizza, Subway, Kentucky Fried Chichen e Mcdonalds.

Il fast fod piu’ salato? È risultato negli USA. E’ quello che emerge dalla ricerca apparsa sulla rivista della Canadian Medical Association. L’articolo “The variability of reported salt levels in fast foods across six countries: opportunities for salt reduction” pubblicato da Elisabeth Dunford e collaboratori ha confrontato il contenuto in sale nei fast food di 6 diversi paesi: Canada, Francia, Australia, Nuova Zelanda, Regno Unito, Usa

-L’anali dei dati ha evidenziato una notevole eterogeneità nel contenuto in sale tra i diversi stati.

-I prodotti con il maggior contenuto in sale sono stati osservati negli USA. Qualche dato. l Macdonald chichen nugget in vendita negli USA contengono 1,6g/100g rispetto a 0,6 g/100g nel Regno Unito.

-Il contenuto in sale negli snacks salati era notevolmente piu’ basso nel Regno Unito (1,4g) e Australia (1,3g) che negli USA (1,8g).

-Il contenuto variava anche tra le diverse aziende. Il livello medio di sale nei sanswichs era infatti il 70% piu’ elevato nei prodotti in vendita da Pizza Hut rispetto a quelli in vendita da Subway.

Cosa dimostrano questi dati? Che una riduzione progressiva del contenuto di sodio dei prodotti alimentari è possibile nonostante le aziende rispondano che la cosa non è fattibile e presenta difficoltà
tecnologiche.

Fonti:

Dunford E, Webster J, Woodward M, Czernichow S, Yuan WL, Jenner K, Mhurchu CN, Jacobson M, Campbell N, & Neal B (2012). The variability of reported salt levels in fast foods across six countries: opportunities for salt reduction. CMAJ : Canadian Medical Association journal = journal de l’Association medicale canadienne, 184 (9), 1023-8 PMID: 22508978

Li XY, Cai XL, Bian PD, & Hu LR (2012). High Salt Intake and Stroke: Meta-analysis of the Epidemiologic Evidence. CNS neuroscience & therapeutics PMID: 22742770

Troppo sale sulle tavole italiane

Il sodio e il sale

I fitosteroli, i fitostanoli e i loro esteri: fonti alimentari e alimenti funzionali

E’ on line sulla rivista Mediterranean Journal of nutrition and metabolism
la nostra review intitolata Phytosterols, phytostanols and their esters: from natural to functional foods
DOI: 10.1007/s12349-010-0049-0

I fitosteroli, i fitostanoli e i loro esteri, sono un gruppo di steroidi che si trovano naturalmente nelle piante. Se ne conoscono circa 200 tipi diversi. La struttura chimica dei fitosteroli è molto simile a quella del colesterolo. Il beta-sitosterolo,il campesterolo e lo stigmasterolo sono gli steroli vegetali più frequenti negli alimenti e rappresentano circa il 65, 30 e 3% dei fitosteroli assunti con la dieta. Nell’immagine ne vediamo alcune strutture. Come componenti naturali delle strutture vegetali, i fitosteroli contribuiscono alla regolazione della fluidità e della permeabilità delle membrane cellulari. Si trovano principalmente negli oli vegetali, frutta, noci, cereali e legumi.

I fitostanoli invece, sono la forma satura dei fitosteroli, da essi differiscono per l’assenza del doppio legame. I nomi dei piu’ comuni fitostanoli sono beta-sitostanolo, stigmastanolo e campestanolo. In aggiunta alla forma libera, esistono dei derivati dei fitosteroli. Quattro tipi di coniugati, in cui gruppo 3-OH è esterificato ad un acido grasso o un acido idrossicinnamico, o è glicosilata con un esoso (in genere glucosio) (Figura 2).

Le diverse caratteristiche strutturali dei fitosteroli e dei fitostanoli, si riflettono in un diverso assorbimento a livello intestinale rispetto al colesterolo. Per i fitosteroli l’assorbimento è compreso tra 0.4 e 5% e da 0.02 a 0.3% per i fitostanoli. Ne deriva che la concentrazione degli stanoli nel sangue è inferiore rispetto ai fitosteroli.

Negli ultimi quindici anni a livello mondiale si è assistito ad una rapida crescita del mercato degli alimenti funzionali contenenti fitosteroli e fitostanoli. Sebbene numerosi studi clinici abbiano chiaramente dimostrato che i fitosteroli riducono l’assorbimento del colesterolo a livello intestinale e di conseguenza contribuiscono ad una diminuzione dei livelli del colesterolo- LDL, non è chiaro se i fitosteroli hanno un effetto positivo sulle malattie cardiovascolari. Inoltre fino ad ora, non ci sono dati relativi agli effetti del consumo di fitosteroli sullo sviluppo delle malattie cardiovascolari. La nostra review si concentra sulla biochimica dei fitosteroli, sul loro metabolismo e sul ruolo sulla salute in condizioni normali e patologiche. Vi trovate anche i livelli nelle principali fonti alimentari.

A proposito di fitosteroli, vi suggerisco anche questo articolo:”Role of naturally-occurring plant sterols on intestinal cholesterol absorption and plasmatic levels” pubblicato sul JOURNAL OF PHYSIOLOGY AND BIOCHEMISTRY Volume 65 (1). Come è facile intuire dal titolo, si parla dei fitosteroli presenti in diversi alimenti e del loro possibile ruolo funzionale nella Dieta Mediterranea.

La melatonina a tavola

Puntuale con la fine delle vacanze appaiono articoli sullo stress da rientro e sugli alimenti che aiuterebbero a combatterlo. Quali alimenti vengono suggeriti? Citando uno studio del 2006 pubblicato da un gruppo di ricercatori dell’Università di Milano, attenzione è rivolta all’uva come aiuto contro lo stress perché fonte di melatonina. La notizia è rimbalzata tra i vari siti, vogliamo approfondire il tema e verificare se in cinque anni ci sono stati sviluppi sull’argomento?

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La melatonina è una molecola che è stata ritenuta a lungo una sostanza presente solamente negli organismi animali. Diversi studi hanno dimostrato che non è affatto così. Dalla prima ricerca pubblicata nel 1995, la melatonina è stata quantificata in seguito in fiori, frutti e semi di numerose piante commestibili.

Nei mammiferi, la melatonina viene sintetizzata a partire dal triptofano. Oltre che nella ghiandola pineale, è sintetizzata nella retina, nel tratto gastrointestinale e in altri tessuti. La secrezione di metionina della ghiandola pineale è regolata da stimoli visivi provenienti dalla retina, per cui la produzione di melatonina varia considerevolmente durante le 24 ore del giorno. Durante la notte si ha una maggiore produzione e secrezione di melatonina che si riflette sui suoi livelli ematici. Sulla base di queste conoscenze, la melatonina è ritenuta responsabile della regolazione del ritmo circadiano, modula il ciclo sonno-veglia, regola il metabolismo osseo e le funzioni del sistema riproduttivo. La figura mostra la quantità di melatonina prodotta dalla ghiandola pineal durante il giorno.

La melatonina svolge altre funzioni importanti. E’ in grado di superare la barriera ematoencefalica e la barriera placentare. Alla molecola è stato attribuito un ruolo antiossidante e la capacità di stimolare l’attività di enzimi antiossidanti. La sintesi di melatonina da parte nei monociti e nelle piastrine ha suscitato interesse dei ricercatori ed è stato suggerito che la melatonina potrebbe essere coinvolta nella modulazione delle risposta infiammatoria.

Sulla base dei numerosi ruoli fisiologici svolti nei mammiferi e in altri animali, la presenza della melatonina in diverse piante commestibili ha suscitato un notevole interesse anche in relazione al fatto che è stato dimostrata la sua biodisponibilità. L’assunzione di alimenti che contengono melatonina si riflette infatti in un aumento dei suoi livelli nel sangue.

Quale ruolo potrebbe svolgere la melatonina nei vegetali? Oltre al ruolo antiossidante, si è ipotizzato un effetto regolatore della maturazione. I livelli di melatonina infatti sono piu’ elevati nei frutti maturi come dimostrato nei pomodori. Inoltre uno studio recente ha dimostrato per la prima volta fluttuazioni dei livelli di melatonina durante il giorno in piante di Vitis vinifera cresciute in condizioni ambientali diverse. L’esposizione alla luce provocava una diminuzione di melatonina mentre livelli più elevati si osservavano nelle piante cresciute al buio.

Quali livelli di melatonina troviamo nei vegetali? Da un esame della letteratura emerge che diversi fattori influenzano la sintesi della molecola. I contenuti di melatonina sono espressi in nanogrammi (ng) o picogrammi (pg) per grammo o ml di campione. Qualche dato:

Ciliegie 2-18 ng/g

Pomodori maturi 2,8 ng/g

Uva 5-96 pg/g

Vini spagnoli 50-80 pg/ml

Vini Italiani 0,4-0,5 ng/ml

Olio extravergine 71-119 pg/ml

Negli ultimi anni i livelli di melatonina sono stati quantificati in numerosi alimenti, in frutti d’uva di diverse cultivar (Nebbiolo, Sangiovese, Barbera, Cabernet Sauvignon, Marzemino, Merlot) e in semi vegetali dove sono stati evidenziati livelli tra 2 e 200 ng/g. Altri autori hanno quantificato il contenuto in melatonina in diversi vini. In vini spagnoli e italiani i valori erano compresi rispettivamente tra 50–80 pg/ml e 0,4-0,5 ng/ml con maggiori quantità nei vini rossi rispetto a vini bianchi o distillati come whisky, gin, vodka. Le diverse cultivar dei frutti, fattori ambientali, condizioni di coltivazione e trattamenti post-raccolta potrebbero spiegare le differenze nei livelli di melatonina presenti in diversi tipi di alimenti e di vini. Recenti studi hanno evidenziato la presenza di melatonina anche in diverse birre con concentrazioni comprese tra 52- 169 pg/ml. Di notevole interesse anche la presenza di melatonina nell’olio extravergine.

In conclusione, la molecola della melatonina svolge numerosi ruoli fisiopatologici nell’organismo umano. Come emerge dalla letteratura, i dati raccolti fino ad oggi dimostrano che numerosi alimenti vegetali e loro derivati, sono fonti alimentari di melatonina. L’assunzione di alimenti che contengono melatonina si riflette in un aumento dei livelli nel sangue e tali modificazioni potrebbero avere una rilevanza fisiologica che merita di essere ulteriormente investigata.

Fonti

– Iriti, M., Rossoni, M., & Faoro, F. (2006). Melatonin content in grape: myth or panacea? Journal of the Science of Food and Agriculture, 86 (10), 1432-1438 DOI: 10.1002/jsfa.2537

Hattori A, Migitaka H, Iigo M, Itoh M, Yamamoto K, Ohtani-Kaneko R, Hara M, Suzuki T, & Reiter RJ (1995). Identification of melatonin in plants and its effects on plasma melatonin levels and binding to melatonin receptors in vertebrates. Biochemistry and molecular biology international, 35 (3), 627-34 PMID: 7773197

– Iriti, M., Varoni, E., & Vitalini, S. (2010). Melatonin in traditional Mediterranean diets Journal of Pineal Research DOI: 10.1111/j.1600-079X.2010.00777.x

-Paredes, S., Korkmaz, A., Manchester, L., Tan, D., & Reiter, R. (2008). Phytomelatonin: a review Journal of Experimental Botany, 60 (1), 57-69 DOI: 10.1093/jxb/ern284

Manchester, L., Tan, D., Reiter, R., Park, W., Monis, K., & Qi, W. (2000). High levels of melatonin in the seeds of edible plantsPossible function in germ tissue protection Life Sciences, 67 (25), 3023-3029 DOI: 10.1016/S0024-3205(00)00896-1

Gli acidi grassi furanici nei pesci del Mare Adriatico

L’interesse per gli effetti favorevoli di una dieta a base di pesce sullo stato di salute dell’uomo nasce da studi che riguardano la connessione tra l’elevato consumo di pesce e di olio di pesce e la bassa incidenza di malattie cardiovascolari nelle popolazioni di Eschimesi e Giapponesi. Successivamente, diversi studi hanno dimostrato che gli acidi grassi polinsaturi a lunga catena omega3, come l’acido eicosapentaenoico, l’acido docosapentaenoico, e l’acido docosaesaenoico svolgono un ruolo protettivo nei confronti delle malattie cardiovascolari

Il pesce è considerato quindi un’importante fonte alimentare di lipidi bioattivi. Oltre ai piu’ conosciuti acidi grassi polinsaturi ω 3 (PUFA ω 3), un ruolo nutrizionale è stato attribuito agli acidi grassi furanici (F-acidi).

Questi composti presenti anche in batteri marini, hanno un ruolo biologico non completamente delucidato.

ResearchBlogging.org In un articolo pubblicato sulla rivista Food chemistry, è stata caratterizzata la frazione degli acidi grassi furanici nel filetto di sei specie di pesci presenti nel Mar Adriatico (merluzzo – Merluccius merluccius; suro – Trachurus trachurus; sogliola – Solea solea; alice – Engralius encrasicolus; sgombro – Scomber scombrus; sarda – Sardina pilchardus). L’identificazione degli F-acidi è stata effettuata utilizzando la gascromatografia accoppiata alla spettrometria di massa (GC/MS) mentre l’analisi quantitativa è stata effettuata mediante la gascromatografia accoppiata ad un detector a ionizzazione di fiamma (GC/FID).

Nel merluzzo l’acido grasso furanico più abbondante è risultato essere l’acido 12,15-epossi-13-metileicosa-12,14-dienoico mentre in tutte le altre specie l’acido 12,15-epossi-13,14-dimetileicosa-12,14-dienoico . Gli acidi: 12,15-epossi-13,14-dimetilnonadeca-12,14 dienoico , 10,13-epossi-11-metilottadeca-10,12-dienoico , acido 14,17-epossi-15,16-dimetileicosa-14,16-dienoico , 12,15-epossi-13,14-dimetileicosa-12,15,16-trienoico e 12,15-epossi-13,14-dimetileicosa-10,12,14-trienoico sono presenti in tracce.

Il maggior contenuto di acidi grassi furanici è stato riscontrato nella sarda (30 mg/100 g filletto) mentre nel suro è stato riscontrato il minor contenuto (meno di 0.1 mg/100g filletto). La correlazione positiva lineare tra la percentuale di l’EPA e quella degli F-acidi evidenziata in tutte le specie di pesci, fa ipotizzare che la biosintesi degli acidi docosapentanoico (DPA) e docosaesanoico (DHA) competa con quella degli acidi grassi furanici.

Poichè gli acidi furanici sono presenti nei batteri marini, si è ipotizzato che quelli presenti nei pesci derivino dalla catena alimentare. Un areview sulla presenza degli acidi furanici in diversi alimenti è stata pubblicata da Spiteller G, sulla rivista Lipids (2005).

Tra i possibili ruoli fisiologici, si è ipotizzato che essi svolgano un ruolo antiossidante. Infatti diversi studi hanno dimostrato la loro azione protettiva nei confronti dell’ossidazione dell’acido linoleico. Questa funzione che merita di essere investigata ulteriormente, potrebbe contribuire al ruolo protettivo svolto dai prodotti ittici contro l’insorgenza delle patologie associate al danno ossidativo come aterosclerosi e patologie cardiovascolari.

Fonti:

Pacetti, D., Alberti, F., Boselli, E., & Frega, N. (2010). Characterisation of furan fatty acids in Adriatic fish Food Chemistry, 122 (1), 209-215 DOI: 10.1016/j.foodchem.2010.02.059

Spiteller, G. (2005). Furan fatty acids: Occurrence, synthesis, and reactions. Are furan fatty acids responsible for the cardioprotective effects of a fish diet? Lipids, 40 (8), 755-771 DOI: 10.1007/s11745-005-1438-5

Okada Y, Kaneko M, & Okajima H (1996). Hydroxyl radical scavenging activity of naturally occurring furan fatty acids. Biological & pharmaceutical bulletin, 19 (12), 1607-10 PMID: 8996648

Pauwels EK (2011). The protective effect of the Mediterranean diet: focus on cancer and cardiovascular risk. Medical principles and practice : international journal of the Kuwait University, Health Science Centre, 20 (2), 103-11 PMID: 21252562

LeWhif Vitamins

Non sono rossetti, non sono pennarelli colorati ……… si tratta di inalatori di vitamine, LeWhif Vitamin. Grazie a questi piccoli strumenti, le vitamine non vengono ingerite, come si fa normalmente assumendo cibi o supplementi, ma inalate.

E’ stato suggerito che le vitamine assunte mediante inalazione, siano più biodisponibili rispetto a quelle assunte mediante ingestione con alimenti o integratori , in quanto possono essere assorbite a livello polmonare e non devono superare il tratto gastro-intestinale (Figura).

LeWhif Vitamin vanta di fornire il 100 per cento del consumo giornaliero raccomandato di vitamine come vitamina A, B1, B2, B3, B5 con soli otto soffi. Le vitamine sono disponibili mescolate con altri ingredienti per aggiungere sapore. Esistono 3 varietà tè verde con le vitamine C ed E, il tè di ibisco con un multivitaminico, tè e vino, che contiene vitamina D e 20 milligrammi di resveratrolo.

Le Whif, non è una novità, è nato quando David Edwards, professore di Harvard in ingegneria biomedica, ha sfidato i suoi studenti a sviluppare dei modi per rendere gli alimenti inalabili. Questi studi hanno portato alla messa a punto e alla commercializzazione di inalatori per cioccolato e caffè , ma anche inalatori per farmaci come vaccini e insulina .
LeWhif sono state lanciate in UK e presto si troveranno anche in altri Paesi Europei e in America.
Il costo? una fornitura di LeWhif Vitamins per tre giorni costa € 5.70 (si possono anche acquistare on-line). Sembra che il ricavato sarà destinato ad una giusta causa : infatti finanzieranno il Labs ArtScience fondato da Edwards, che ha l’obiettivo di realizzare le idee più innovative di giovani studenti.

Oltre a LeWhif Vitamins, una gamma di spray orali a base di vitamine viene prodotta da Vitamist, negli Stati Uniti. È possibile selezionare inalatori che contengono vitamine, minerali, antiossidanti ecc.. Sono disponibili inalatori per tutte le esigenze , per le donne , per gli uomini, per gli sportivi e anche per gli animali domestici….

Edwards DA et al. Large porous particles for pulmonary drug delivery.Science. 1997 Jun 20;276(5320):1868-71.

Acidi grassi trans "naturali" e "artificiali" a confronto

E’ stato il tema che decisi di affrontare nel primo numero del mio randomestrale Trashfood. Era febbraio 2002 e con l’articolo Li chiamano trans, cercai di spiegare cosa significava il termine “grassi idrogenati” in etichetta e quali erano gli effetti esercitati dagli acidi grassi trans sul metabolismo lipidico. In quegli anni si parlava esclusivamente di grassi trans formatisi durante i processi di idrogenazione a cui venivano sottoposti vari oli per ottenere miscele di grassi da impiegare nella produzione di margarine o di altri oli raffinati. Nel giro di qualche anno, nuovi studi confermarono l’effetto ipercolesterolemizzante causato da un consumo eccessivo di grassi idrogenati, considerati in modo unanime dalla comunità scientifica un fattore di rischio aterogenico. Sono arrivate le nuove norme sull’etichettatura negli USA, l’obbligo di indicare i livelli di grassi trans in etichetta e i divieti dell’impego di grassi trans in ristoranti e fast food di alcune città degli Stati Uniti. In Europa unico stato a prendere posizione e a legiferare sul tema è stata la Danimarca.

ResearchBlogging.org Negli ultimi anni una attenzione crescente è stata rivolta ai grassi trans ottenuti per bioidrogenazione durante la digestione nel rumine di ovini e bovini e definiti “naturali” per differenziarli da quelli chiamati “artificiali” perché ottenuti mediante idrogenazione. Tra i trans di cui si è parlato maggiormente vi è l’acido linoleico coniugato a cui sono stati attribuiti potenziali effetti protettivi tra cui effetti anticancerogeni ed regolatori della massa grassa sulla base di studi condotti su modelli animali. Sebbene dati contrastanti siano stati ottenuti nell’uomo, il mercato è stato invaso da supplementi e capsule contenenti CLA a diverse concentrazioni. E’ giusto precisare che il termine CLA indica un insieme di forme isomeriche dell’acido linoleico (C 18:2) che presentano doppi legami coniugati (doppi legami adiacenti C=C-C=C) in diverse posizioni e conformazioni. Gli isomeri del CLA differiscono quindi per la posizione della coppia del doppio legame (per esempio 7-9, 8-10, 9-11, 10-12, e così via) e possono esistere tutte le possibili combinazioni cis e trans : cis-trans, trans-cis, cis-cis, trans-trans.

A questo punto è inevitabile porsi delle domande:

In cosa differiscono gli acidi grassi trans che risultano dalla idrogenazione a livello industriale rispetto a quelli ottenuti da processi di bioidrogenazione nei ruminanti?

La review “Effect of Animal and Industrial Trans Fatty Acids on HDL and LDL Cholesterol Levels in Humans – A Quantitative Review” esamina la letteratura scientifica degli ultimi anni e fa il punto su un argomento che ha numerose implicazioni salutistiche e economiche.

Andiamo con ordine. Gli acidi grassi trans “artificiali” sono prodotti dalla idrogenazione completa o parziale di oli vegetali o di pesce, la reazione avviene ad elevate temperature e in presenza di un catalizzatore metallico.

Gli acidi grassi trans “naturali” sono invece prodotti nel rumine di mucche e pecore in seguito a reazioni di idrogenazione parziale e/o di isomerizzazione da acidi grassi insaturi contenuti nel mangime animale. Le reazioni sono svolte dai batteri presenti nella flora intestinale dei ruminanti. Di conseguenza, nel grasso contenuto nel latte, burro, formaggio e nella carne si trovano dal 2-9% di acidi grassi trans.

Se analizziamo le varie specie di acidi grassi trans in diverse materie prime comprendiamo che i grassi idrogenati e i grassi animali contengono specie simili di acidi grassi trans, ma in proporzioni diverse. Alcune molecole sono rappresentate nella figura.

Sulla base dei dati della letteratura, possiamo affermare che tra gli acidi grassi trans presenti negli oli vegetali parzialmente idrogenati, vi sono soprattutto isomeri trans dell’ acido oleico come C18:1 trans-9 o acido elaidico (figura 1d) e C18:1 trans-10.

Gli oli di pesce parzialmente idrogenati contengono principalmente isomeri trans di acidi grassi insaturi a lunga catena come C20:1, 20:2, 22:1 e 22:2 (figura 1f) che derivano dall’acido eicosapentenoico (EPA) e DHA durante la parziale idrogenazione dei fish oils. Oli vegetali parzialmente idrogenati contengono anche piccole quantità di C18:1 trans-8, e C18:1 trans-11, o acido vaccenico (figura 1b). Isomeri trans dell’acido alfa-linolenico possono formarsi anche durante la frittura. Un apporto elevato di tutti questi acidi grassi ha un effetto sui lipidi plasmatici e aumenta il rapporto LDL- colesterolo/ HDL-colesterolo come è stato dimostrato in numerosissime ricerche.

E ora parliamo degli acidi grassi trans definti “naturali”. Nel latte e nella carne il C18:1 trans-11 (acido vaccenico) (figura 1b) è l’acido grasso trans predominante. I grassi animali contengono anche piccole quantità di cis-9, trans-11 18:02 (uno degli isomeri dell’acido linoleico coniugato, CLA). Gli acidi grassi Cis-9, trans-11 18:02 CLA sono anche formati dall’acido vaccenico ingerito negli animali e negli esseri umani. La maggior parte degli acidi grassi trans nel latte e carne sono costituiti quindi da acidi grassi simili a quelli trovati in oli vegetali parzialmente idrogenati ma in proporzioni diverse.

Il CLA, come detto prima, è anche ampiamente venduto come supplemento, sotto forma di capsule. La maggior parte delle capsule di CLA contengono una miscela di acidi grassi come il CLa cis-9, trans-11 e un altro isomero CLA trans-10, cis-12. Queste preparazioni di CLA sono pubblicizzate con la promessa di contribuire a perdita di peso, anche se gli studi sugli esseri umani sono stati inconcludenti su questo aspetto.

Torniamo alla rassegna che ha esaminato i risultati di numerose ricerche sull’effetto dell’assunzione di grassi trans sui livelli di lipidi plasmatici (LDL-colesterolo e HDL-colesterolo). 39 studi hanno soddisfatto i criteri previsti dagli autori. Dai risultati emerge che l’apporto alimentare degli acidi grassi che presentano uno o più doppi legami nella configurazione trans, ha un effetto sul metabolismo lipidico e aumenta il rapporto LDL-C / HDL- colesterolo indipendentemente dalla loro origine o dalla struttura.

E’ importante sottolineare che il CLA è un componente minore tra gli acidi grassi trans assunti con l’alimentazione animale ed è probabile che l’effetto della dieta sui livelli di colesterolo sia trascurabile.
In zootecnia comunque da diversi anni si pianificano modificazioni della composizione dei mangimi per l’alimentazione dei bovini da latte al fine di ridurre il contenuto di acidi grassi saturi nel latte ma al tempo stesso si lavora per aumentare i livelli di CLA (isomero cis-9, trans-11) e di altri grassi trans ottenuti dalla bio-idrogenazione. Sulla base delle conoscenze attuali, l’utilità di questi interventi non andrebbe riconsiderata?

Fonti:

Brouwer IA, Wanders AJ, & Katan MB (2010). Effect of animal and industrial trans fatty acids on HDL and LDL cholesterol levels in humans–a quantitative review. PloS one, 5 (3) PMID: 20209147

Toral, P., Frutos, P., Hervás, G., Gómez-Cortés, P., Juárez, M., & de la Fuente, M. (2010). Changes in milk fatty acid profile and animal performance in response to fish oil supplementation, alone or in combination with sunflower oil, in dairy ewes Journal of Dairy Science, 93 (4), 1604-1615 DOI: 10.3168/jds.2009-2530

Remig, V., Franklin, B., Margolis, S., Kostas, G., Nece, T., & Street, J. (2010). Trans Fats in America: A Review of Their Use, Consumption, Health Implications, and Regulation Journal of the American Dietetic Association, 110 (4), 585-592 DOI: 10.1016/j.jada.2009.12.024

"Diossina": a general outline

Considerando gli ultimi eventi, non potevamo non parlare di questo argomento “ la diossina”. Brevemente, l’allarme è sorto negli ultimi giorni quando in Germania è stato riscontrato che uova destinate all’alimentazione umana ed esportate in altri Paesi Europei (Olanda e UK) erano contaminate con diossina. Continua a leggere

La faseolina, l'alfa amilasi e l'indice glicemico

Il bello del web è che parti da un argomento e tra i commenti scopri cose che non sapevi. E ti viene voglia di cercare e approfondire. L’altro giorno a commentare un mio post sull’alfa amilasi della farina è arrivato Renato Bruni. Se non conoscete il suo blog Erba Volant, andate subito a visitarlo perchè merita veramente.

Dal commento di Renato ho imparato che studi recenti hanno dimostrato che alcuni polifenoli sono in grado di inibire l’enzima alfa-amilasi e quindi è stata loro attribuita una potenziale azione “antidiabetica”. I polifenoli che inibiscono l’amilasi salivare e pancreatica, rallentano la digestione dell’amido contenuto negli alimenti come pane, pasta,patate, riducono quindi l’assorbimento di glucosio e la conseguente liberazione nel sangue.
Mi è venuto in mente che altre molecole possiedono la stessa capacità, per esempio la faseolina. I primi studi sulla presenza di inibitori degli enzimi digestivi risalgono a piu’ di 35 anni fa quando si evidenziarono alterazioni della digestione in animali nutriti con fagioli crudi. Dopo diversi anni l’inibitore fu purificato dai fagioli e fu chiamato appunto faseolina dal latino phaseŏlus (fagiolo). Si confermò che l’inibitore isolato abbassava l’innalzamento della glicemia nel periodo post-prandiale, tuttavia si mise in risalto che essendo una proteina, era inattivato con la cottura.
L’indice glicemico non era ancora stato introdotto ma si iniziò comunque ad indagare sugli inibitori della α-amilasi nei legumi, in particolare nei fagioli secchi e si evidenziò che erano presenti a livelli fino a 2-4 g / kg. Con il passare degli anni, diversi estratti sono stati testati in studi randomizzati. L’efficacia degli estratti dai legumi è stata oggetto di una review curata da Preuss nel 2009. I primi estratti negli anni ’80 non erano molto efficaci nel bloccare la digestione dell’amido, in parte per la bassa attività dell’inibitore dell’amilasi. Tuttavia negli anni successivi, gli estratti ottenuti con nuovi procedimenti hanno contribuito ad una maggiore attività dell’inibitore dell’α-amilasi e quindi ad una maggiore efficacia nel bloccare la digestione dell’amido. Il marketing si è messo in moto e oggi troviamo in vendita un estratto che viene proposto con nomi di fantasia e come “Starch Blocker.” Guardate quante aziende propongono l’estratto di fagioli (white bean extract) come “weight loss product“.

Negli ultimi anni abbiamo osservato un notevole aumento delle patologie dismetaboliche e del diabete, nuovi studi sono stati rivolti ad identificare se altre molecole -oltre alla faseolina – esercitano un effetto inibitore dell’amilasi e delle glucosidasi. Fino ad oggi varie molecole hanno dimostrato di possedere questi ruoli, tra questi i flavonoidi luteolina, la luteolina 7-O-glucoside, i fitoestrogeni come la daidzeina. Oltre agli estratti dai fagioli, si candidano a svolgere un potenziale ruolo “anti-diabetico” anche estratti di frutti di bosco.

I polifenoli presentano caratteristiche molecolari diverse dalla faseolina e quindi i meccanismi con cui esercitano i loro ruoli inibitori sono diversi e non ancora definiti. Di certo questi dati ci permettono di formulare nuove ipotesi per spiegare il basso indice glicemico di molti prodotti vegetali e dei legumi. Oltre alla presenza di fibre vegetali che rallentano l’assorbimento di glucosio, potrebbero essere coinvolti anche polifenoli e altre molecole – tra cui la faseolina-che hanno un ruolo inibitore dell’amilasi.

Fonti:

Purification and Properties of Phaseolamin, an Inhibitor of alpha-Amylase, from the Kidney Bean, Phaseohs vulgaris THE JOURNAL OF BIOLOGICAL CHEMISTRY 25, 1975

Relationship between polyphenol intake and blood glucose response of normal and diabetic individuals. Am J Clin Nutr. 1984, 39(5):745-51.

Inhibition of Alpha-glucosidase and Amylase by Luteolin, a Flavonoid Biosci Biotechnol Biochem. 2000, 64:2458-61.

Different polyphenolic components of soft fruits inhibit alpha-amylase and alpha-glucosidase. J Agric Food Chem. 2005,53(7):2760-6

The nutraceutical role of the Phaseolus vulgaris alpha-amylase inhibitor. Br J Nutr. 2008, 100:1-12.

Physicochemical and structural studies of phaseolin from French bean seed Phaseolin, also known as glycoprotein II and G1 globulin, is the main reserve protein in seeds of the French bean J Am Coll Nutr. 2009, 28:266-76.

Bean amylase inhibitor and other carbohydrate absorption blockers: effects on diabesity and general health. Preuss HG. Journal of the American College of Nutrition, 2009, 28: 266-276

-Evaluation of alpha-glucosidase, alpha-amylase and protein glycation inhibitory activities of edible plants. . Int J Food Sci Nutr. 2010, 61:295-305.