Dove sarò il 28 settembre?

Il 28 settembre 2011 sarò a Modena in occasione di Sicura Convention, un evento dedicato alla sicurezza nel settore alimentare. La manifestazione si articola in una serie di convegni, seminari e corsi di formazione attraverso i quali verranno dibattuti temi relativi alla sicurezza degli alimenti con particolare riferimento ai metodi di conservazione, ai materiali per il confezionamento, ai possibili fenomeni di contaminazione, al pericolo delle micotossine.

La mattina del 28 settembre ci sarà una tavola rotonda su “Alimenti Funzionali e integratori alimentari per una migliore qualità della vita.” Ecco gli interventi previsti.

L’integratore alimentare: definizione e caratteristiche distintive. Cenni di legislazione generale Massimiliano Carnassale, Segretario FederSalus

Integratori: non sono tutti uguali Giacomo Mugani, Farmacista

Gli integratori alimentari quali coadiuvanti nutrizionali Graziella Tedeschini, Medico specialista in scienze dell’alimentazione

L’alimentazione sana nell’ottica della medicina naturale olistica Franco Lenna, Medico esperto in ingredienti funzionali medicina olistica

Alimenti funzionali e integratori: aspetti nutrizionali ed effetti sulla salute Gianna Ferretti e Tiziana Bacchetti, Università Politecnica delle Marche

Le verifiche GMP nella produzione di integratori alimentari: il servizio di Certiquality Luca Bardi, Certiquality

Coordinerà la mattinata Gabriella Mainardis, Biologo, Responsabile Laboratorio Analisi Microlab, Docente Università di Trieste.

Stiamo preparando il nostro contributo. E’ un tema che abbiamo già trattato in diverse occasioni qui e sul blog Trashfood. Gli esempi da trattare non mancano.

Se passate da quelle parti, ci si vede.

La melatonina a tavola

Puntuale con la fine delle vacanze appaiono articoli sullo stress da rientro e sugli alimenti che aiuterebbero a combatterlo. Quali alimenti vengono suggeriti? Citando uno studio del 2006 pubblicato da un gruppo di ricercatori dell’Università di Milano, attenzione è rivolta all’uva come aiuto contro lo stress perché fonte di melatonina. La notizia è rimbalzata tra i vari siti, vogliamo approfondire il tema e verificare se in cinque anni ci sono stati sviluppi sull’argomento?

ResearchBlogging.org

La melatonina è una molecola che è stata ritenuta a lungo una sostanza presente solamente negli organismi animali. Diversi studi hanno dimostrato che non è affatto così. Dalla prima ricerca pubblicata nel 1995, la melatonina è stata quantificata in seguito in fiori, frutti e semi di numerose piante commestibili.

Nei mammiferi, la melatonina viene sintetizzata a partire dal triptofano. Oltre che nella ghiandola pineale, è sintetizzata nella retina, nel tratto gastrointestinale e in altri tessuti. La secrezione di metionina della ghiandola pineale è regolata da stimoli visivi provenienti dalla retina, per cui la produzione di melatonina varia considerevolmente durante le 24 ore del giorno. Durante la notte si ha una maggiore produzione e secrezione di melatonina che si riflette sui suoi livelli ematici. Sulla base di queste conoscenze, la melatonina è ritenuta responsabile della regolazione del ritmo circadiano, modula il ciclo sonno-veglia, regola il metabolismo osseo e le funzioni del sistema riproduttivo. La figura mostra la quantità di melatonina prodotta dalla ghiandola pineal durante il giorno.

La melatonina svolge altre funzioni importanti. E’ in grado di superare la barriera ematoencefalica e la barriera placentare. Alla molecola è stato attribuito un ruolo antiossidante e la capacità di stimolare l’attività di enzimi antiossidanti. La sintesi di melatonina da parte nei monociti e nelle piastrine ha suscitato interesse dei ricercatori ed è stato suggerito che la melatonina potrebbe essere coinvolta nella modulazione delle risposta infiammatoria.

Sulla base dei numerosi ruoli fisiologici svolti nei mammiferi e in altri animali, la presenza della melatonina in diverse piante commestibili ha suscitato un notevole interesse anche in relazione al fatto che è stato dimostrata la sua biodisponibilità. L’assunzione di alimenti che contengono melatonina si riflette infatti in un aumento dei suoi livelli nel sangue.

Quale ruolo potrebbe svolgere la melatonina nei vegetali? Oltre al ruolo antiossidante, si è ipotizzato un effetto regolatore della maturazione. I livelli di melatonina infatti sono piu’ elevati nei frutti maturi come dimostrato nei pomodori. Inoltre uno studio recente ha dimostrato per la prima volta fluttuazioni dei livelli di melatonina durante il giorno in piante di Vitis vinifera cresciute in condizioni ambientali diverse. L’esposizione alla luce provocava una diminuzione di melatonina mentre livelli più elevati si osservavano nelle piante cresciute al buio.

Quali livelli di melatonina troviamo nei vegetali? Da un esame della letteratura emerge che diversi fattori influenzano la sintesi della molecola. I contenuti di melatonina sono espressi in nanogrammi (ng) o picogrammi (pg) per grammo o ml di campione. Qualche dato:

Ciliegie 2-18 ng/g

Pomodori maturi 2,8 ng/g

Uva 5-96 pg/g

Vini spagnoli 50-80 pg/ml

Vini Italiani 0,4-0,5 ng/ml

Olio extravergine 71-119 pg/ml

Negli ultimi anni i livelli di melatonina sono stati quantificati in numerosi alimenti, in frutti d’uva di diverse cultivar (Nebbiolo, Sangiovese, Barbera, Cabernet Sauvignon, Marzemino, Merlot) e in semi vegetali dove sono stati evidenziati livelli tra 2 e 200 ng/g. Altri autori hanno quantificato il contenuto in melatonina in diversi vini. In vini spagnoli e italiani i valori erano compresi rispettivamente tra 50–80 pg/ml e 0,4-0,5 ng/ml con maggiori quantità nei vini rossi rispetto a vini bianchi o distillati come whisky, gin, vodka. Le diverse cultivar dei frutti, fattori ambientali, condizioni di coltivazione e trattamenti post-raccolta potrebbero spiegare le differenze nei livelli di melatonina presenti in diversi tipi di alimenti e di vini. Recenti studi hanno evidenziato la presenza di melatonina anche in diverse birre con concentrazioni comprese tra 52- 169 pg/ml. Di notevole interesse anche la presenza di melatonina nell’olio extravergine.

In conclusione, la molecola della melatonina svolge numerosi ruoli fisiopatologici nell’organismo umano. Come emerge dalla letteratura, i dati raccolti fino ad oggi dimostrano che numerosi alimenti vegetali e loro derivati, sono fonti alimentari di melatonina. L’assunzione di alimenti che contengono melatonina si riflette in un aumento dei livelli nel sangue e tali modificazioni potrebbero avere una rilevanza fisiologica che merita di essere ulteriormente investigata.

Fonti

– Iriti, M., Rossoni, M., & Faoro, F. (2006). Melatonin content in grape: myth or panacea? Journal of the Science of Food and Agriculture, 86 (10), 1432-1438 DOI: 10.1002/jsfa.2537

Hattori A, Migitaka H, Iigo M, Itoh M, Yamamoto K, Ohtani-Kaneko R, Hara M, Suzuki T, & Reiter RJ (1995). Identification of melatonin in plants and its effects on plasma melatonin levels and binding to melatonin receptors in vertebrates. Biochemistry and molecular biology international, 35 (3), 627-34 PMID: 7773197

– Iriti, M., Varoni, E., & Vitalini, S. (2010). Melatonin in traditional Mediterranean diets Journal of Pineal Research DOI: 10.1111/j.1600-079X.2010.00777.x

-Paredes, S., Korkmaz, A., Manchester, L., Tan, D., & Reiter, R. (2008). Phytomelatonin: a review Journal of Experimental Botany, 60 (1), 57-69 DOI: 10.1093/jxb/ern284

Manchester, L., Tan, D., Reiter, R., Park, W., Monis, K., & Qi, W. (2000). High levels of melatonin in the seeds of edible plantsPossible function in germ tissue protection Life Sciences, 67 (25), 3023-3029 DOI: 10.1016/S0024-3205(00)00896-1

Amido resistente in cucina

Mentre il riso sta cucinando nell’acqua avete mai pensato a cosa sta accadendo alle molecole dell’amido presente? E cosa accade alle stesse molecole quando il riso viene raffreddato dopo la cottura come accade quando prepariamo una insalata di riso o il sushi? Parliamo quindi di amido, anzi meglio parlare al plurale, quanti tipi di amidi conosciamo? Andiamo con ordine.

L’amido è la fonte principale di carboidrati, è il polisaccaride di riserva immagazzinato nei vegetali sotto forma di granuli nei semi, legumi e tuberi. Per molti anni si è pensato che l’amido fosse digerito al 100% liberando completamente le molecole di glucosio nell’intestino tenue. La ricerca negli ultimi decenni ha trovato che una percentuale di amido non viene digerita nell’intestino tenue e passa nel tratto intestinale successivo dove viene utilizzato come substrato per la fermentazione batterica. Questa frazione di amido è stata chiamata amido resistente (RS). Poichè le frazioni di RS non sono digerite nell’intestino, l’amido resistente viene classificato da diversi anni tra le fibre alimentari.

Perché in alcuni alimenti una parte dell’amido è resistente alla digestione? L’amido è costituito da molecole di glucosio legate insieme a formare amilosio e amilopectina. L’amilosio ha una struttura molecolare lineare che è insolubile e piu’ difficile da digerire rispetto all’amilopectina. Quest’ultima ha una struttura ramificata è quindi più facilmente attaccata dalle amilasi pancreatiche.

La maggior parte dell’amido sintetizzato nei vegetali contiene circa il 20-25% di amilosio. Ma alcuni, come es. l’amido ricavato dai piselli ha circa il 60% di amilosio e una varietà di mais contiene amilosio all’80%.

Cosa provoca la cottura e il raffreddamento successivo alle molecole dell’ amido presente nei cibi? Abbiamo già trattato questo tema.Quando l’amido viene riscaldato in presenza di acqua, i granuli di amido si rigonfiano. Questo processo,porta alla gelatinizzazione e rende l’amido molto più accessibile agli enzimi digestivi poichè le catene glucidiche sono più esposte all’azione idrolitica degli enzimi digestivi. Quindi questo processo è fondamentale per favorire l’utilizzazione metabolica dell’amido contenuto negli alimenti.

La gelatinizzazione caratterizza ovviamente anche la cottura di pasta e riso in eccesso di acqua: l’acqua diffonde all’interno della struttura dei globuli e la gelatinizzazione dell’amido procede dalla periferia verso l’interno.

Quando l’amido che è stato riscaldato, viene raffreddato, si verifica la retrogradazione cioè la trasformazione dell’amido gelatinizzato in una forma cristallina che è resistente alla digestione. Alimenti come pane, cereali, patate, riso e pasta, contengono percentuali diverse di amido retrogradato che rappresentano la frazione di amido resistente. Un esempio di retrogradazione di amido si può osservare quando il pane diventa raffermo. L’amido retrogradato può essere nuovamente gelatinizzato sottoponendolo di nuovo a temperature elevate.


Gelatinizzazione e retrogradazione dell’amido.
A : amido non trattato, B amido gelatinizzato, C : amido retrogradato

Quanti tipi di amido resistente (RS) conosciamo? L’RS viene suddiviso in 4 frazioni: RS1, RS2, RS3 ed RS4.

RS1 rappresenta l’amido resistente che si trova in una forma fisicamente inaccessibile: questo tipo lo troviamo nei semi di cereali non raffinati e nei legumi.

RS2 rappresenta l’amido in forma granulare e resistente alla digestione enzimatica. Nella dieta, questo tipo di amido lo troviamo in frutti non maturi come nella banana.

RS3 rappresenta la frazione maggiore di amido resistente ed è formato principalmente da amilosio retrogradato formatosi durante cicli di riscaldamento-raffreddamento. Questa frazione è completamente resistente alla digestione da parte dell’amilasi pancreatica. Lo troviamo in percentuali diverse in alimenti cotti come il pane, cornflakes, patate.

RS4 In questa categoria sono inclusi vari tipi di amidi modificati tramite trattamenti chimici o fisici. Questo tipo di amido non si trova in natura.


Che livelli di RS abbiamo negli alimenti?
ci auta a rispondere alla domanda uno studio pubblicato da Brighenti et al. nel 1998. Nella ricerca Resistant starch in the Italian diet pubblicata sulla rivista British Journal of nutrition sono riportati i livelli di amido resistente in alcuni alimenti: cereali (pasta, riso, pane, crackers, biscotti), patate, legumi.

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Tabella – Contenuto in amido resistente in alcuni cibi (g/kg)

Riso Arborio (bollito) 44
Riso Arborio (pan.-cooked) 49

Riso S.Andrea (bollito) 66
Riso S.Andrea (pan-cooked) 47

Riso Carnaroli (bollito) 39
Riso Carnaroli (pan-cooked) 49

Spaghetti 28.4
Pasta corta 33
Tagliatelle all’uovo 49

Pane 11
Crackers 18
Panini all’olio 11

Fagioli 116
Fagioli secchi 99
Fagioli in scatola 133

Piselli 124
Piselli secchi 128
Piselli in scatola 143
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-Il metodo di cottura -come detto in precedenza – e la varietà di riso influenzano i livelli di RS. Le differenze tra le varietà potrebbero essere dovute a differenze nel contenuto di amilosio, mentre l’influenza del metodo di cottura potrebbe derivare da diverse quantità di amido che fuoriescono nel liquido di cottura.

-I valori di RS elevati trovati nella pasta all’uovo potrebbero essere collegati alla interazione tra amidi della farina e le proteine ​​presenti nelle uova.

-Per quanto riguarda i legumi, sono noti contenere amido scarsamente digeribile per il contenuto elevato di amilosio. Il contenuto in amido resistente maggiore nei legumi in scatola rispetto ai prodotti surgelati e secchi potrebbe essere dovuta ai trattamenti ad alta temperatura e successivo raffreddamento a cui sono sottoposti i legumi durante la lavorazione. Questi passaggi potrebbero aumentare la frazione RS3 come conseguenza della retrogradazione dell’amilosio.

Brighenti et al sulla base dei loro dati hanno concluso che la maggior parte di amido resistente (RS) nella dieta è presente a causa di trattamenti a cui sottoponiamo il cibo. La formazione di RS nel cib sottoposto a trattamenti diversi (cicli di cottura-raffreddamento, conservazione ..) sembra essere correlato in particolare al contenuto in amilosio, all’interazione amido-lipidi, alla presenza dell’ acqua.

Sulla base dei dati raccolti, si è stimato che l’apporto di RS nella dieta italiana è di circa 8.5 g/d, con differenze regionali ( da 7.2 g/d al nord-ovest a 9.2 g/d a sud).

L’interesse crescente per l’amido resistente e per i suoi ruoli fisiologici, ha portato diverse aziende a sperimentare diversi approcci tecnologici per modificare gli amidi isolati da diverse materie prime (amido di tapioca, mais, patata) e produrre amido resistente da impiegare come ingrediente funzionale. Sia metodi chimici, fisici ed enzimatici, portano alla formazione dell’amido-resistente che oggi viene impiegato come ingrediente in molti prodotti alimentari. Di recente l’EFSA ha riconosciuto l’amido resistente come composto utile nella regolazione della glicemia post-prandiale, quindi dobbiamo attenderci l’arrivo sul mercato di nuovi alimenti a basso indice glicemico con amido resistente tra gli ingredienti.

Questo post partecipa, come anticipato, al Carnevale della Chimica dedicato in questa occasione al tema: La chimica in cucina.

Fonte: Resistant starch in the Italian diet

Food info.net

L’EFSA completa la valutazione di 442 ulteriori indicazioni “funzionali generiche” sulla salute

Indice glicemico degl alimenti

Questione di fibre

La chimica in cucina

Continua l’appuntamento mensile con il Carnevale della Chimica, per la quinta puntata, il tema è decisamente appetibile, si tratta infatti di “La chimica in cucina“, un tema interessante e che abbiamo già trattato in diverse occasioni anche su Nutrimenti. Basta pensare alle reazioni chimiche che avvengono negli alimenti sia mentre li cuciniamo, sia quando li trattiamo per poterli conservare. Modificazioni composizionali chimiche possono anche spiegare i successi e i fallimenti nell’elaborazione di numerose ricette. Pensiano anche ad argomenti legati alla composizione degli alimenti, al destino dei nutrienti durante la digestione e assorbimento, quali effetti hanno sul metabolismo. Chi ha intenzione di partecipare dovrà inviare la segnalazione del post a Paolo Pascucci, curatore del blog questionedelladecisione.blogspot.com. Il termine ultimo il 21 maggio (massimo il 22 mattina). Noi ci saremo!

Dove sarò mercoledì prossimo?

A Pesaro per partecipare al 10° Corso “Progress in Nutrizione Clinica”. Alle 12.30 il mio impegno come relatrice sul tema: “Alimenti lighi, fortificati e funzionali”.

Ecco il programma scientifico.

Ci vediamo a Pesaro!

Giallo…..colore della salute!

Quale delle tre foto vi suggerisce l’immagine di una ragazza in buona salute e perché?

A queste domande hanno cercato di rispondere un team di ricercatori dell’ St Andrews University, nel Regno Unito e i risultati sono stati recentemente pubblicati sulla rivista Evolution and Human Behavior, 2010.
Mediante un programma di grafica, a circa 40 soggetti è stato chiesto di modificare il colore della pelle di persone ritratte in una fotografia, in modo da renderle più attraenti possibile. Il programma permetteva di rendere la pelle più bruna e più gialla. Da questo studio è emerso che la maggioranza dei soggetti inclusi nello studio modificava la foto intensificando il colore giallo e non il colore marrone. Lo stesso risultato si osservava sia nella popolazione caucasica sia nella popolazione africana.
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E’ noto che la colorazione bruna della pelle è data dal contenuto in melanina e dipende dall’ esposizione ai raggi solari; ma la colorazione dorata della pelle da cosa dipende ?
Nello stesso studio gli autori hanno dimostrato una stretta relazione positiva tra il consumo di frutta e verdura e intensità della colorazione “gialla” della pelle dei soggetti.

Ciò suggerisce che la colorazione della nostra pelle è legata all’alimentazione e all’introduzione mediante il consumo di frutta e verdura di particolari composti, i carotenoidi. I carotenoidi, dei quali il beta-carotene è il principale rappresentante, sono dei pigmenti di colore giallo-arancione presenti in abbondanza in frutta e verdura, con proprietà antiossidanti. Lo studio, ha inoltre dimostrato che la supplementazione con 15 mg beta-carotene per 8 settimane era associata ad un significativo aumento dell’intensità della colorazione gialla della pelle dei soggetti inclusi nello studio.
Da questo studio quindi è emerso che il modo più efficace di migliorare il colorito della pelle non è di ottenere una super abbronzatura, ma mangiare molta frutta e verdura.
Consumare frutta e verdura fresca quindi non fa bene solo alla nostra salute ma ci rende anche più attraenti !!!!!!!

Ian D. Stephen, Vinet Coetzee, David I. Perrett. Carotenoid and melanin pigment coloration affect perceived human health. Evolution and Human Behavior, 2010; DOI: 10.1016/j.evolhumbehav.2010.09.003

– Perception Lab guidato dal Dr. Dave Perrett University of St Andrews in Fife, Scotland (sito)

La faseolina, l'alfa amilasi e l'indice glicemico

Il bello del web è che parti da un argomento e tra i commenti scopri cose che non sapevi. E ti viene voglia di cercare e approfondire. L’altro giorno a commentare un mio post sull’alfa amilasi della farina è arrivato Renato Bruni. Se non conoscete il suo blog Erba Volant, andate subito a visitarlo perchè merita veramente.

Dal commento di Renato ho imparato che studi recenti hanno dimostrato che alcuni polifenoli sono in grado di inibire l’enzima alfa-amilasi e quindi è stata loro attribuita una potenziale azione “antidiabetica”. I polifenoli che inibiscono l’amilasi salivare e pancreatica, rallentano la digestione dell’amido contenuto negli alimenti come pane, pasta,patate, riducono quindi l’assorbimento di glucosio e la conseguente liberazione nel sangue.
Mi è venuto in mente che altre molecole possiedono la stessa capacità, per esempio la faseolina. I primi studi sulla presenza di inibitori degli enzimi digestivi risalgono a piu’ di 35 anni fa quando si evidenziarono alterazioni della digestione in animali nutriti con fagioli crudi. Dopo diversi anni l’inibitore fu purificato dai fagioli e fu chiamato appunto faseolina dal latino phaseŏlus (fagiolo). Si confermò che l’inibitore isolato abbassava l’innalzamento della glicemia nel periodo post-prandiale, tuttavia si mise in risalto che essendo una proteina, era inattivato con la cottura.
L’indice glicemico non era ancora stato introdotto ma si iniziò comunque ad indagare sugli inibitori della α-amilasi nei legumi, in particolare nei fagioli secchi e si evidenziò che erano presenti a livelli fino a 2-4 g / kg. Con il passare degli anni, diversi estratti sono stati testati in studi randomizzati. L’efficacia degli estratti dai legumi è stata oggetto di una review curata da Preuss nel 2009. I primi estratti negli anni ’80 non erano molto efficaci nel bloccare la digestione dell’amido, in parte per la bassa attività dell’inibitore dell’amilasi. Tuttavia negli anni successivi, gli estratti ottenuti con nuovi procedimenti hanno contribuito ad una maggiore attività dell’inibitore dell’α-amilasi e quindi ad una maggiore efficacia nel bloccare la digestione dell’amido. Il marketing si è messo in moto e oggi troviamo in vendita un estratto che viene proposto con nomi di fantasia e come “Starch Blocker.” Guardate quante aziende propongono l’estratto di fagioli (white bean extract) come “weight loss product“.

Negli ultimi anni abbiamo osservato un notevole aumento delle patologie dismetaboliche e del diabete, nuovi studi sono stati rivolti ad identificare se altre molecole -oltre alla faseolina – esercitano un effetto inibitore dell’amilasi e delle glucosidasi. Fino ad oggi varie molecole hanno dimostrato di possedere questi ruoli, tra questi i flavonoidi luteolina, la luteolina 7-O-glucoside, i fitoestrogeni come la daidzeina. Oltre agli estratti dai fagioli, si candidano a svolgere un potenziale ruolo “anti-diabetico” anche estratti di frutti di bosco.

I polifenoli presentano caratteristiche molecolari diverse dalla faseolina e quindi i meccanismi con cui esercitano i loro ruoli inibitori sono diversi e non ancora definiti. Di certo questi dati ci permettono di formulare nuove ipotesi per spiegare il basso indice glicemico di molti prodotti vegetali e dei legumi. Oltre alla presenza di fibre vegetali che rallentano l’assorbimento di glucosio, potrebbero essere coinvolti anche polifenoli e altre molecole – tra cui la faseolina-che hanno un ruolo inibitore dell’amilasi.

Fonti:

Purification and Properties of Phaseolamin, an Inhibitor of alpha-Amylase, from the Kidney Bean, Phaseohs vulgaris THE JOURNAL OF BIOLOGICAL CHEMISTRY 25, 1975

Relationship between polyphenol intake and blood glucose response of normal and diabetic individuals. Am J Clin Nutr. 1984, 39(5):745-51.

Inhibition of Alpha-glucosidase and Amylase by Luteolin, a Flavonoid Biosci Biotechnol Biochem. 2000, 64:2458-61.

Different polyphenolic components of soft fruits inhibit alpha-amylase and alpha-glucosidase. J Agric Food Chem. 2005,53(7):2760-6

The nutraceutical role of the Phaseolus vulgaris alpha-amylase inhibitor. Br J Nutr. 2008, 100:1-12.

Physicochemical and structural studies of phaseolin from French bean seed Phaseolin, also known as glycoprotein II and G1 globulin, is the main reserve protein in seeds of the French bean J Am Coll Nutr. 2009, 28:266-76.

Bean amylase inhibitor and other carbohydrate absorption blockers: effects on diabesity and general health. Preuss HG. Journal of the American College of Nutrition, 2009, 28: 266-276

-Evaluation of alpha-glucosidase, alpha-amylase and protein glycation inhibitory activities of edible plants. . Int J Food Sci Nutr. 2010, 61:295-305.

Alimenti funzionali. Gli isotiocianati e ruolo della mirosinasi.

Oggi ospitiamo il primo di una serie di post dedicati agli alimenti funzionali, sono curati dalla Dr. Concetta Ferretti.

L’Institute of Medicine’s Food and Nutrition Board definisce funzionale “qualsiasi alimento o ingrediente che possa conferire un beneficio alla salute al di là del suo valore tradizionale“.
Il mercato degli alimenti funzionali guarda quindi agli aspetti salutistici ed all’effetto di alcune molecole come antiossidanti, vitamine, fitoestrogeni nella prevenzione e nella cura di alcune patologie. Tra gli alimenti più studiati, figurano ortaggi di stagione appartenenti alla famiglia delle Crucifere (genere Brassica) come i broccoli, che oltre ad essere alimenti “funzionali naturali” (poiché ricchi di vitamine, minerali ed antiossidanti) sono stati anche selezionati per la realizzazione di cultivar arricchite in glucosinolati, phytochemicals a cui sono state attribuite proprietà anticancerogene. Ricordate i Booster-broccoli? E il BIMI? I broccoli, tra tutti i membri della famiglia della Crucifere, mostrano i livelli più alti di isotiocianati, metaboliti attivi dei glucosinolati. Questi composti sono generalmente presenti in tutte le parti della pianta ma con differenze sia quantitative sia qualitatiive, ad esempio nei fiori e nei semi la quantità totale può essere molto piu’ elevata rispetto a quella di altri tessuti. L’isotiocianato più rappresentato nei broccoli è il sulforafane, che dal 1992, anno della sua scoperta è stato oggetto di molti studi finalizzati a comprenderne i ruoli fisiologici nell’organismo umano. Vediamo come orientarci nell’interpretare le numerose informazioni, analizzando piu’ da vicino le interessanti proprietà del sulforafane, il metabolismo e la biodisponibilità.

Metabolismo e biodisponibilità: Come già detto, gli isotiocianati sono prodotti e immagazzinati dalla pianta sotto forma di glucosinolati. La glucorafanina è il glucosinolato precursore del sulforafane. Gli isotiocianati vengono rilasciati a seguito di un danno degli ortaggi, ad esempio dopo cottura o in conseguenza della masticazione. L’enzima coinvolto nella idrolisi dei glucosinolati è la mirosinasi, una glucosidasi presente sia nelle cellule vegetali sia nei batteri che compongono la flora batterica dell’intestino umano. Nell’immagine la molecola della glucorafanina e ruolo dell’enzima mirosinasi che permette la liberazione del suforafane.

Dopo l’assorbimento, gli isotiocianati sono coniugati nell’epitelio intestinale o nel fegato con molti composti, quali glutatione, acidi glucuronici e, in misura minore, solfati. I prodotti coniugati sono successivamente metabolizzati ad acidi mercapturici, escreti nelle urine. La valutazione dei livelli di questi metaboliti nelle urine ci permette di raccogliere informazioni sull’assorbimento degli isotiocianati.

L’assorbimento e la biodisponibilità del sulforafane dipendono da diversi fattori:

-La biodisponibilità del sulforafane da broccoli crudi è maggiore rispetto a quelli cotti, poiché l’enzima mirosinasi è sensibile al calore. Per contrastare l’inattivazione enzimatica occorre preferire quindi brevi cotture a vapore (5 minuti circa), risultate essere le meno dannose rispetto alla bollitura.

-La biodisponibilità dei glucosinolati è molto inferiore quando la loro idrolisi non avviene prima dell’ingestione. Infatti anche se la flora microbica intestinale possiede attività mirosinasica, l’enzima batterico agisce solo su una piccola quota dei glucosinalati complessivamente ingeriti. Inoltre, trattamenti antibiotici o infiammazioni possono ridurre notevolmente la flora batterica, influenzando l’idrolisi enzimatica.

Sapevate che anche la masticazione influisce sulla biodisponibilità degli isotiocianati? lo ha evidenziato uno studio che mostra come l’escrezione urinaria di questi composti sia molto maggiore dopo una lunga masticazione dei vegetali.

Concetta Ferretti

Bibliografia

Buona salute in tavola, le proprietà dei cavoli

Broccoli arcobaleno

Novità dal panettiere !

Pane bianco, all’olio, al latte ,integrale , alla soia, ai cereali, all’avena ….tantissimi sono ormai le diverse tipologie di pane che ritroviamo dal nostro panettiere.

Oggi , però, ne ho trovato uno che non avevo mai visto prima ……..il pane alla Chia.
La chia è pianta (Salvia hispanica L.), un membro della famiglia della menta, che cresce in paesi latino-americani tra cui Messico, Argentina e Perù. I suoi semi sono commestibili e vengono classificati per le loro qualità nutritive come pseudocereali . Attualmente stanno guadagnando popolarità come possibile alimento funzionale grazie all’elevato contenuto in acidi grassi omega-3 e omega-6 oltre che di proteine, calcio e fibre. (per altre informazioni….)

Oggi possiamo trovare i semi di Chia interi o macinati come ingrediente per pane,in quanto nel 2009, essi hanno ricevuto lo stato di Novel Food dalla European Food Safety Authority (EFSA). Ciò ha permesso la loro commercializzazione in Europa ed il loro utilizzo per la preparazione del pane (massima quantità 5%).
Qui potete trovare l’opinione scientifica espressa dall’ESFA in cui brevemente si afferma che dai dati sulla composizione dei semi di Chia, sulle sue caratteristiche nutrizionali e sulle proposte di utilizzo, si ritiene che non vi sia alcuna ragione di considerare questo nuovo ingrediente alimentare svantaggioso sul piano nutrizionale per il consumatore in base alle condizioni d’uso proposte. Rimangono alcune incertezze per quanto riguarda la potenziale allergenicità della Chia.

Tuttavia l’EFSA riconosce la difficoltà di prevedere, utilizzando metodologie ad oggi disponibili, la potenziale allergenicità di questo nuovo prodotto. Per quanto riguarda gli aspetto tossicologici l’EFSA afferma che l’esperienza acquisita con l’uso precedente e attuale di semi di Chia per scopi alimentari nei paesi extra-UE può essere considerata come prova di sostegno per consentire una conclusione positiva sulla sicurezza dei semi di Chia. Sulla base dei dati disponibili, il gruppo di esperti conclude che è improbabile che l’uso di semi di Chia nel pane ad un massimo del 5% avrebbe un effetto negativo sulla salute.
Attualmente unico seme di Chia ammesso per la vendita nell’UE è Benexia

Io l’ho assaggiato ed è buono!… e penso che presto oltre al pane alla Chia, troveremo altri prodotti con questo nuovo ingrediente …voi cosa ne pensate?

Foto da NUCE: Fiera internazionale della Nutraceutica

Con un pò (…) di ritardo allego qualche foto scattata alla Fiera internazionale della Nutraceutica (NUCE) tenutasi a Milano dal 25-28 Ottobre.
Ho ascoltato con molto interesse l’intervento della Dott.ssa Patrizia Riso (dell’ Università di Milano) che ha evidenziato come sia difficile deliare il ruolo della nutrizione nella prevenzione delle malattie degenerative sottolineando a tal proposito la variabilità individuale e l’importanza della nutrigenetica (come le caratteristiche genetiche dell’individuo modulano la risposta ad un deteriminato fattore dietetico) e della nutrigenomica (come i diversi composti presenti nell’alimento influenzano l’espressione genica in un individuo).
Interessante, a mio parere, anche l’intervento della Dott.ssa Carla Ferreri che ha parlato di lipidomica e nutrilipidomica. La lipidomica è la scienza che si occupa dello studio dei lipidi. La nutrilipidomica è una recente branca della lipidomica che mette in relazione l’alimentazione e le caratterische composizionali della membrana cellulare stabilite mediante la lipidomica. Attraverso una strategia nutrizionale/nutraceutica personalizzata la nutrilipidomica cerca di riportare la membrana cellulare ad una situazione ottimale di composizione e funzionalità.

Ho anche partecipato alla tavola rotonda sui claims nutrizionali alla quale hanno partecipato le istituzioni, diversi esperti dell’alimentazione e le aziende del settore. Dai vari interventi è emerso: da una parte la necessità di mettere ordine in un settore molto delicato e finora poco regolato; dall’altra la presenza di diversi punti deboli della normativa e la difficoltà di utilizzare le indicazioni salutari per le piccole e medie aziende alimentari a causa della complessità della procedura e delle competenze e il costo necessari a preparare il dossier per chiedere l’autorizzazione.